Due Studi su tre hanno adottato lo smart working, ma i più piccoli solo a livello “informale”: i dati diffusi dall’Osservatorio del Politecnico di Milano e le soluzioni digitali per implementare negli Studi un lavoro agile e sicuro.
L’emergenza Coronavirus ha dimostrato una volta per tutte i tanti vantaggi dello smart working per l’azienda e per i lavoratori; non è, infatti, un caso che due colossi come Google e Facebook abbiano deciso di incentivare il lavoro da remoto dei propri dipendenti fino alla fine del 2020.
Anche nel nostro Paese il “lavoro agile”, come viene definito lo smart working a livello normativo, ha guadagnato negli ultimi mesi parecchi punti, anche agli occhi del governo. Gli ultimi ritocchi al Decreto Rilancio hanno infatti trasformato il lavoro agile in un vero e proprio diritto, perlomeno per tutti quei lavoratori che, avendo almeno un figlio con meno di 14 anni, sono impiegati in aziende private e si occupano di attività compatibili con lo smart working, cioè che possono essere svolte senza difficoltà anche da casa.
Ma come è stato affrontato lo smart working negli studi professionali di commercialisti, consulenti del lavoro e avvocati? Uno studio dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano ha fotografato la situazione: vediamola nel dettaglio.
Lavoro agile negli Studi professionali: la situazione attuale
Dai dati dell’indagine dell’Osservatorio, che ha analizzato più di 3.300 studi e si è conclusa in pieno lockdown, emerge innanzitutto che, per quanto riguarda l’adozione dello smart working, esiste una differenza piuttosto marcata tra studi piccoli, medi e grandi.
Considerando “grandi” gli studi formati da oltre 30 professionisti tra commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro e multidisciplinari, si scopre che di questi quasi il 50% ha pianificato e avviato iniziative strutturate di smart working. Si parla in questi casi di lavoro agile a tutto tondo, con adozione di apposite tecnologie per la mobilità e orari flessibili.
Nel caso degli studi “piccoli”, con un numero di professionisti compreso tra 3 e 15, lo smart working a tutto tondo è stato invece adottato solamente dal 20% del campione esaminato. È però interessante notare che il 44 % dei piccoli studi ha optato per quello che l’Osservatorio definisce smart working “informale”, cioè senza un’organizzazione rigida, indici di prestazione e obiettivi specifici. Tenendo conto delle diverse forme di adozione dello smart working, emerge che 2 studi su 3 si sono mossi verso il lavoro agile: il 55% dei micro-studi, il 65% dei piccoli, il 75% dei medi e il 78% dei grandi.
Lo smart working “formale” non si improvvisa: gli strumenti 4.0 per un lavoro agile e sicuro
A differenziare gli studi più piccoli da quelli più grandi è, nella maggior parte dei casi, la preparazione pregressa. Come ha sottolineato sulle pagine de Il Sole 24 Ore Claudio Rorato, presidente dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale, «chi aveva già avviato investimenti in tecnologie, processi, formazione del personale e innovazione dei servizi ha saputo rispondere ai clienti con trasparenza, continuità ed efficienza: senza traumi».
Le difficoltà sono state invece maggiori per gli studi che non avevano investito in software gestionali sviluppati in ottica smart working, a partire dalle soluzioni in cloud per la gestione documentale, per la gestione del personale e così via. Dopotutto, è la stessa indagine a dimostrarlo: in più del 70% degli studi professionali in cui sono state implementate forme di lavoro agile sono stati fatti anche investimenti sul fronte tecnologico, per permettere effettivamente a professionisti e dipendenti di lavorare in modo efficace da casa e in mobilità.
I supporti digitali al fianco del fattore umano
Per adottare delle forme strutturate e sicure di lavoro agile è necessario dotarsi prima di tutto di soluzioni mirate e flessibili, come software in grado di garantire la massima riservatezza dei dati, l’aggiornamento in tempo reale e la possibilità di collaborazione e condivisione dati. In parallelo occorre fornire la giusta formazione al personale e aggiornare le policy aziendali. Come sottolinea Rorato «occorre far crescere anche le persone, motivarle, responsabilizzarle, saperle gestire, metterle in condizione di essere efficienti. In sintesi, curare l’anima umanistica».
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