Come sta cambiando l’attività quotidiana di commercialisti e consulenti del lavoro a causa dell’emergenza sanitaria, tra difficoltà oggettive e innovative soluzioni digitali.

Fino a qualche settimana fa il lavoro agile era visto come un’opportunità, un obiettivo al quale puntare in un futuro più o meno lontano. Nonostante molte imprese si dichiaravano pronte e ben disposte verso lo smart working, emerge come – numeri alla mano – fossero ancora poche quelle che avevano già attivato programmi di lavoro agile per i propri dipendenti.

Con l’emergenza Coronavirus, la riorganizzazione del lavoro è improvvisamente diventata per tante imprese una necessità impellente. Da una parte ci sono le note categorie che non hanno chiuso i battenti e che hanno continuato la loro attività in modo, tra virgolette, “normale”. Dall’altra tutte quelle imprese che, nonostante qualche resistenza iniziale, hanno dovuto fermarsi completamente, come ristoranti, imprese edili, e così via.

Tra questi due poli troviamo tutte quelle professioni che hanno potuto fare ricorso al lavoro agile, seppur magari facendo fronte a un rallentamento dei lavori. Per gli studi professionali che avevano già avviato la trasformazione da studio fisico a studio digitale, questo passaggio è stato più naturale e “morbido”. Al contrario, in quelli ancorati ai sistemi tradizionali, la riorganizzazione del lavoro imposta dall’emergenza sanitaria si sta rivelando più difficoltosa, tenendo peraltro conto che alcune specifiche attività non possono essere svolte in remoto.

Lo smart working in Italia prima del Covid-19

È evidente come l’emergenza Coronavirus abbia comportato un’accelerata sul fronte smart working. Si pensi alla situazione rilevata dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano nel 2019: i lavoratori agili rilevati in Italia erano 480 mila, mentre oggi si parla di almeno 3 milioni di dipendenti smart, impegnati a lavorare da casa. Il 13,2% del totale degli occupati.

Nel caso degli studi professionali, e quindi dei commercialisti, dei consulenti del lavoro e degli avvocati, la diffusione dello smart working risultava notevole già nei mesi scorsi. Il 29% degli studi commercialisti aveva già adottato il lavoro agile, con tutte le conseguenze positive indicate dalle indagini degli ultimi anni: aumento della produttività, di riduzione dell’assenteismo, della crescita della fiducia tra manager e team, di fidelizzazione dei dipendenti, e altro ancora.

La riorganizzazione degli studi professionali

Nonostante, come appena sottolineato, molti studi professionali avessero già mosso importanti passi sulla via dello studio digitale, anche questi, oggi, sono chiamati a fronteggiare difficoltà importanti e oggettive.

Si pensi alla sospensione delle udienze, che sta sconvolgendo le attività degli avvocati. Come ha spiegato sulle pagine de Il Sole 24 Ore Antonio De Angelis, presidente dell’AIGA (Associazione italiana dei giovani avvocati), i legali si stanno «organizzando per continuare a lavorare a distanza, ma ci sono alcuni aspetti che vanno affrontati, come quello dei tirocinanti, che devono assistere ad almeno venti udienze a semestre».

Discorso analogo per i commercialisti, che si trovano ad affrontare i termini processuali pur di fronte alla sospensione delle udienze tributarie, nonché le scadenze degli adempimenti. Nasce da questa e da altre considerazioni la missiva del presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti Massimo Miani inviata nei giorni scorsi al Ministero dell’Economia. Nella lettera, in linea con i dati emersi dalle indagini degli ultimi mesi, Miani spiega che l’80% degli studi non è in grado di garantire una piena operatività.

«Non possiamo non sottolineare – ha scritto Miani nella lettera inviata al Ministero – come l’estensione a tutto il territorio nazionale delle pesanti limitazioni agli spostamenti e delle prescrizioni per evitare la diffusione del contagio anche in relazione ad attività, come quelle professionali, che devono comunque garantire i loro servizi, stanno mettendo in ginocchio gli studi dei commercialisti e i loro centri di elaborazione dati per l’impossibilità in moltissimi casi di attivare, in così breve tempo, lo smart working con i propri dipendenti e collaboratori e la condivisione dell’uso dei software gestionali presso le loro abitazioni».


L’unica strada percorribile è comunque quella del lavoro da remoto, così come ribadito da Maurizio Postal (Consiglio nazionale): «Siamo nel pieno della stagione per le attività di revisione e controllo di società ed enti, oltre che per l’approvazione dei bilanci: per quanto in alcuni casi la presenza fisica sia importante, ora dobbiamo cercare di fare tutto a distanza».


I consulenti del lavoro, in questo frangente, sono coinvolti nella riorganizzazione del lavoro in due vesti. Da una parte, si sono adattati a svolgere la propria attività da remoto, come gli altri professionisti; dall’altra, aiutano le aziende clienti ad organizzare e gestire a loro volta la transizione verso lo smart working. «In una sola giornata – ha detto Fabrizio Bontempo, presidente dell’Associazione nazionale giovani consulenti del lavoro – abbiamo attivato 400 smart working, ora è la volta delle richieste di ammortizzatori sociali».


 

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