Dapprima si poteva pensare di avere a che fare con un fenomeno tutto sommato confinato ad oltreoceano. A parlare per primo di Great Resignation è stato Anthony Klotz, professore presso la Mays Business School of Texas, in relazione all’eccezionale aumento delle dimissioni volontarie conosciuto negli Stati Uniti proprio a partire dal 2021.

E per alcuni mesi dall’Italia ci si è limitati a osservare da lontano questo fenomeno, domandandosi se anche il nostro paese sarebbe stato travolto o meno da questo importante trend. Poi sono arrivati i numeri delle prime indagini dedicate, dimostrando che già nel 2021 le dimissioni volontarie erano in forte incremento, soprattutto al nord Italia.

A dare una fotografia esauriente del fenomeno delle Grandi dimissioni nel nostro paese nel 2021 è l’indagine “Le dimissioni in Italia tra crisi, ripresa e nuovo approccio al lavoro”, realizzata da Fondazione Studi Consulenti del Lavoro sui dati delle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

L’indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro

Il dato principale e più interessante che esce dall’indagine effettuata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro è quello relativo al numero dei lavoratori italiani che, nei primi 9 mesi del 2021, hanno deciso di lasciare il proprio posto di lavoro: tra gennaio e settembre si sono contati 1 milione e 81 mila lavoratori dimissionari.

Questo dato viene poi completato da un’altra rilevazione molto significativa, che ci dice che alla fine del 3° trimestre del 2021, quasi un dimissionario su 2 non risultava tra i nuovi assunti.

Il fenomeno delle Grandi dimissioni in Italia, così come effettuato dallo studio, risulta trasversale sia dal punto di vista settoriale che da quello geografico. Nella maggior parte dei casi, però, il dimissionario è giovane (si parla del 43,2% del totale), a bassa scolarizzazione (54,4%) e risiede al Nord (56,4%).

Ma questo non è un vero e proprio identikit del dimissionario. Anzi, a colpire più di tanti altri dati è il fatto che, confrontando i primi trimestri del 2021 con il medesimo periodo del 2019, e dunque prima della pandemia, la crescita delle dimissioni è molto forte tra adulti, lavoratori qualificati e laureati.

In generale, la media di persone dimissionarie è cresciuta del 13,8% tra il 2019 e il 2021; ma è cresciuta del 17,7% tra i laureati, del 17% per i lavoratori tra 45 e 55 anni e del 21,5% tra i lavoratori over 55.

Come interpretare i dati

Come spiega Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, solo nei prossimi mesi sarà possibile capire la reale portata di questo fenomeno, «soprattutto rispetto alle motivazioni, visto che non è possibile stimare all’interno della quota di lavoratori dimessi e non rioccupati quanti potrebbero aver deciso di avviare un’attività in proprio, essersi occupati irregolarmente o più semplicemente aver deciso di smettere di lavorare.

Ancora una volta emerge, tra l’altro, che le maggiori opportunità di rioccupazione riguardano quei profili tecnici e specializzati dove è più alto il divario domanda/offerta, mentre i più penalizzati nella ricollocazione successiva sono i lavoratori a basso tasso di formazione e occupazione».

La gestione delle dimissioni

Senza dubbio in questo frangente le aziende sono chiamate a ridurre il tasso di turn over, con i manager HR impegnati nel fidelizzare i dipendenti.

E di certo le strategie da mettere in campo sono tante, anche con il supporto del consulente del lavoro, e dei migliori software per la gestione del personale: si parla del miglioramento dei processi di selezione del personale, dell’attivazione di processi premianti e motivanti per trattenere le risorse, del potenziamento sul fronte formativo per mantenere i talenti in azienda, dell’aumento della flessibilità e via dicendo.

In questo modo sarà possibile ridurre il tasso di abbandoni,
pur sapendo che in media in questo periodo i consulenti del lavoro sono e saranno comunque chiamati a gestire un numero crescente di dimissioni volontarie. 


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